Famiglia

Aziende sicure se a garantire c’ è il marchio

Lavoro minorile, ecco cos'é la clausola sociale per evitare lo sruttamento

di Mariateresa Marino

Clausola sociale o marchio sociale. In qualsiasi modo lo si voglia definire, il principio di base è salvo: impedire che vengano distribuiti e venduti nel mondo prodotti che provengono dal lavoro dei minori, o comunque realizzati in Paesi dove non esistono garanzie sociali minime per i lavoratori. In che modo? Attraverso un patto, non verbale, ma codificato e ufficializzato, tra imprese produttrici, organizzazioni sindacali (o in mancanza di queste ultime, organizzazioni che difendono i diritti civili), e classe politica. Un sacrosanto tentativo, insomma, di arginare uno degli effetti più drammatici della globalizzazione economica: l?abbattimento dei costi di produzione fatto sulla pelle di bambini e lavoratori privi di protezione. A utilizzare la manodopera infantile sono in maggioranza aziende tessili, manifatturiere e di lavorazioni delle pelli. E in Italia proprio dalla Cgil-tessili è partita la prima campagna di sensibilizzazione sul problema, che ha portato nel maggio del 1997 alla firma di un primo accordo con le industrie pellettiere: si tratta di un codice di autocondotta che impedisca lo sfruttamento del lavoro minorile. Il codice, che è di per sé la clausola sociale oggi invocata, prevede il rispetto delle principali convenzioni dell?Oil, l?Organizzazione internazionale del lavoro. Tra queste, il divieto del lavoro forzato fornito da persone recluse nelle carceri o in condizioni di schiavitù; il divieto del lavoro dei bambini con meno di 15 anni o che comunque non abbiano ancora completato il ciclo scolastico obbligatorio; la libertà di associazione e di contrattazione collettiva; il divieto di discriminazione dei lavoratori in base alla religione, alla razza o alle idee politiche. Queste condizioni stanno anche alla base dei contratti stipulati con le aziende alle quali vengono forniti lavori in subappalto. Dall?accordo deriverebbe anche la possibilità, per le imprese che intendano farlo, di adottare un?etichettatura volontaria, ?sociale?, che confermi la realizzazione dei prodotti nei Paesi in cui è stata adottata la clausola sociale. «Il codice è positivo, ma va fatto un ulteriore passo in avanti» afferma Valeria Fedeli, della Cgil tessili. «Occorre cioè che il Governo fornisca incentivi alle aziende perché adottino le norme, e si costituisca un organismo indipendente di controllo che verifichi l?attuazione della clausola in ciascun Paese». La necessità di adottare questi principi è stata ribadita anche in un documento concordato con le organizzazioni sindacali e gli imprenditori del settore tessile e calzaturiero, che il ministro dell?Industria Bersani ha firmato in dicembre. «È ovvio», conclude Fedeli, «che i provvedimenti non possono essere adottati dai singoli Paesi, in questo caso dall?Italia. Le iniziative vanno prese a livello europeo per essere efficaci e significative. L?Unione europea, tra gli altri suoi compiti, ha anche questo».


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